punti di vista
OPERA CAFE' E TULIPANI
C’erano giorni in cui mangiare non era necessario. L’angoscia abitava il mio petto e stringeva la bocca dello stomaco come se fosse un sacchetto. L’unica cosa che bramavo era un caffè, magari lunghissimo, come piace a me, con un goccio di latte e un pizzico di zucchero, non mi sono mai sentita pronta ad affrontare il caffè amaro, in tutta la sua essenza. C’era un luogo però che mi portava ad affrontare quelle giornate già perse in partenza con gli occhi diversi. C’era un bar in cui mi sentivo talmente sola che stavo bene, allora mi sedevo nei tavolinetti e cominciavo a scrivere, a immaginarmi un domani in cui andare in un bar a scrivere sarebbe diventata la mia normalità, il mio mestiere, la mia vocazione, la mia salvezza. Scrivo, pagine vuote ma piene di parole confuse la fantasia si rompe e ritorno nella realtà, ma c’è ben poco da fare quando rimangono solo le tazze sporche, con quei fondi di caffè per i quali non basta un risciacquo veloce, quando sono finiti i fazzoletti e tocca pulirsi le mani su quei jeans intramontabili, comprati cinque o sei anni fa, quando alla bocca non basta il bicchierino d’acqua donato insieme al caffè, perché non conosce quiete un corpo tormentato, quando il giornale l’hai già letto due volte, quando le parole ormai sono state dette, i discorsi li hai già snocciolati tutti. Non resta che tornare a casa, si è fatto buio ed io ho inventato troppo e per troppo tempo una vita che non è la mia. In questi casi posso solo mantenere vivo il ricordo delle brioches all’albicocca, che se le sentisse Leo andrebbe fuori di testa, attendendo il giorno dopo per tornare in quel luogo dove l’anima tace, dove i brutti sogni sembrano spegnersi, dove senti solo il rumore del fiume, quando sei fortunato, e le chiacchiere di quattro amiche che giurano di non lasciarsi mai. In questo posto, quasi ci credo alle promesse.